5 step per avviare un’attività con la marmellata

Di
Redazione Millionaire
21 Novembre 2014

Tutti con le mani nella marmellata. Produrne è un business promettente per chi la coltiva. E per chi la trasforma: + 8, 7% l’incremento del consumo di marmellata (Nielsen). Per un fatturato nello scorso anno di 170 milioni di euro: «È buona ed è sempre gradita. Sta diventando anche un souvenir» spiega Edda Marozzi (http://www.prodottibiologicicasalia.it/), 54 anni. Mamma di sei figli, dopo la separazione, nel 2000, si inventa un’attività per mandare avanti la famiglia: trasforma 9 ettari di terra in un frutteto bio. Oggi prepara e vende conserve di marmellate a Martinsicuro (Te). Un vasetto di confettura da 340 g costa 5-6 euro. Edda e figlie ne producono 1500 l’anno in 13 gusti, con 24 etichette. Fatturato: 110mila euro annui.

Vediamo con il suo aiuto qualche consiglio utile per provare.

1. Chi può intraprendere?

Chiunque abbia un frutteto o un orto. Vantaggi per chi produce: materia prima a buon prezzo e massima qualità. Ma anche chi non coltiva la terra può preparare marmellata: basta accordarsi con produttori di fiducia e trasformare i loro raccolti: «Chi acquista dai coltivatori ha costi fissi stabiliti. Ma non può verificarne personalmente la qualità. L’accordo con i coltivatori può portare vantaggi a chi produce e a chi trasforma: il contadino abbassa il prezzo in cambio di un certo quantitativo di confezione, che personalizza».

2. Che cosa produrre?

Confetture della frutta più comune: ciliegie, albicocche, pesche, prugne, pere, fichi, fragole, agrumi, uva. Ma anche frutti di bosco, esotici e antiche varietà locali. In Italia ci sono 50mila ettari coltivati a frutta e agrumi bio. Una confettura bio e genuina non deve contenere né conservanti, né coloranti: «Quando la frutta è matura, si raccoglie. Non si può aspettare: la confettura va fatta subito. Significa che in certi giorni si lavora più di 13 ore di seguito» racconta Paola, figlia maggiore di Edda.

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3. Quanto costa un laboratorio?

Ci sono aziende che realizzano e vendono apparecchiature singole e laboratori completi. Come la Tecmon (http://www.tecmon.it/): «I prezzi di un laboratorio partono da 16mila – 18 mila euro e arrivano fino a 42mila, a secondo del quantitativo di merce che si intende lavorare» spiega Tiziano Gaiani della Tecmon.

4. Dove e come vendere?

Il punto di vendita può essere annesso al laboratorio, soprattutto nelle aziende agricole, o essere dislocato in un centro abitato, una località turistica. Edda ha creato un negozio in azienda. Fuori, c’è un giardino con tavoli e spazi di accoglienza: «Servono scaffali, banco vendita, computer, spazi per assaggi. Non più di 4-5 pezzi per prodotto». Fondamentale la confezione: è il primo strumento di vendita. Il consiglio è di investire almeno 1.000 euro, tra studio del marchio, grafica e stampa per comunicare i principi dell’azienda: genuinità, ingredienti bio e di qualità. Poi il prodotto va spiegato a voce e raccontato: «Certe specialità vanno fatte provare, abbinate a formaggi, pane e altri prodotti».

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5. Qual è la burocrazia essenziale?

Avvia l’impresa agricola, apri partita Iva, iscriviti al Registro delle imprese, all’Albo artigiani, all’Inail. In Comune, presenta la Dichiarazione di inizio attività nel settore alimentare. Adotta le norme Haccp e redigi un manuale aziendale di autocontrollo dell’igiene e degli alimenti. Per saperne di più: Fruitlab, guida + software, 39 euro, http://www.startimpresa.it/

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