Fitness che business

Di
Redazione Millionaire
9 Agosto 2012

C’è energia nell’aria. Idee imprenditoriali disegnano un universo completamente nuovo. Il settore è in espansione. E permette di intraprendere (e guadagnare) a livelli diversi. Dentro e fuori le palestre

Fitness, si cambia. Dove prima c’erano body building e aerobica, oggi ci sono Zumba, fit rugby, antigravity, strike zone. Un universo completamente nuovo sta ridisegnando il settore. Cambiano le palestre, i corsi, i protagonisti. Esplode la voglia di muoversi e di provare nuovi allenamenti. E aumenta la richiesta di centri specializzati per bambini, anziani, donne. «Se nel 2004 il pubblico che frequentava abitualmente le palestre si attestava sui cinque milioni di persone ed era un dato stabile da qualche anno, oggi sta raggiungendo gli otto milioni. Una cifra molto significativa e in evoluzione» spiega Patrizia Cecchi, responsabile di Rimini Wellness, la principale fiera del settore. Se prima si andava in palestra soltanto per motivi estetici, oggi lo si fa per divertirsi, rilassarsi, raggiungere un equilibrio tra il corpo e la mente, migliorare la funzionalità. Ma c’è di più. Altri due filoni di sviluppo si stanno affermando. «Il primo è legato all’aspetto della salute e della prevenzione. Ed è un orientamento che viene dall’Organizzazione mondiale della Sanità: fare esercizio fisico e mangiare sano sostituisce le medicine, allunga la vita delle persone ed è un risparmio per la sanità pubblica. Un’opportunità di business incredibile, perché il fitness inteso come prevenzione sarà, presto o tardi, adottato da tutti. Il secondo filone è la rapida crescita del mondo termale».

L’Italia è il Paese europeo con il più alto numero di palestre

In questo contesto il mercato si presenta però molto frammentato. «L’incremento dell’offerta è stato enorme negli ultimi 15 anni. Oggi le palestre in Italia sono circa 7mila, il numero più alto d’Europa. E molte sono centri piccoli. Le grandi catene, diffuse negli altri Paesi, da noi sono arrivate negli ultimi anni e coprono soltanto il 5% della domanda» spiega Luca Mazzotti, consulente aziendale specializzato nel settore del fitness (www.studiomoranduzzo.com) e autore del libro Business Fitness (Alea, 20 euro). Ma in concreto cosa fare per intraprendere? «Il consiglio è scegliere un posizionamento preciso. Individuare il proprio target e, in base a quello, offrire servizi particolari» spiega Patrizia Cecchi di Rimini Wellness. Se interpretiamo i segnali che vengono dal mercato e costruiamo un progetto di qualità, la strada è quella giusta. Come dimostrano molte delle storie che raccontiamo in queste pagine. Non sempre è necessario avere una laurea in Scienze motorie e nemmeno essere istruttori per avviare un’attività, anche se è utile avvalersi della collaborazione di un professionista. Le doti richieste sono passione per lo sport, capacità di relazione e tanto spirito di sacrificio. «La chiave del successo per chi intraprende nel settore è rivolgersi a un target specifico» consiglia Mazzotti. All’estero un esempio eclatante è quello di Curves, la catena nata negli Usa nel 1992, che ha ideato un sistema di allenamento per le donne che vogliono perdere peso. In Italia c’è invece chi ha puntato sulle neomamme che hanno bisogno di esercizi mirati in determinate parti del corpo (vedi box a pag. 40). Una cosa è certa: il fitness dedicato agli anziani è considerato dall’American College of Sports Medicine una delle tendenze destinate ad avere maggior successo nel 2011. «I centri di riabilitazione, che vedono la compresenza di istruttori, medici e fisioterapisti, e che hanno al loro interno macchinari diversi da quelli del fitness, stanno vivendo un momento di espansione» conferma Cecchi. A fare da apripista in questo campo è stato l’Ospedale Gemelli di Roma (www.policlinicogemelli.it), che ha creato al suo interno un centro fitness per ultra 65enni (ma è aperto anche ai 40-50enni) che desiderino fare esercizio fisico in un ambiente controllato e sotto la supervisione di personale medico e tecnico qualificato. Per chi invece volesse intraprendere in piccolo, una strada può essere quella di aprire piccoli “centri motori”. «Si rivolgono a persone in sovrappeso, o preposte a sviluppare il diabete o l’ipertensione» suggerisce Mazzotti. «In questi casi l’investimento è più contenuto. Gli spogliatoi si riducono all’essenziale e non c’è bisogno di aree benessere o Spa».

Due strade per emergere: design e tecnologia

Un’altra strada può essere quella di aprire un centro fitness che ci differenzi dagli altri per un’idea innovativa, per esempio per il design o la tecnologia. «Quello che manca in questo momento sono le idee» lamenta Mazzotti. Eppure c’è chi ci sta provando. «Nella mia palestra tutte le macchine cardio sono dotate di computer con collegamento a Internet» spiega Ciro Santucci, titolare di Audace Palestre a Milano (vedi box a pag. 42). «L’idea è di una palestra comoda, dove se vuoi puoi scendere da casa in tuta, correre sul tappeto e controllare la posta elettronica (grazie a un bottone collegato con il cinema di zona è anche possibile prenotare il biglietto del cinema). C’è un’unica tessera che ti abilita a entrare, aprire l’armadietto, acquistare le bibite, affittare l’asciugamano e prenotare il trainer». In America si sono spinti molto più in là sul versante della tecnologia, e hanno sviluppato un format molto originale che si chiama Xrcade, (www.xrkade.com), una palestra interattiva destinata ai bambini tra i 3 e i 14 anni, dove si fa allenamento attraverso giochi elettronici proiettati su pedane e video. Da novembre è presente anche in Italia con un centro pilota presso lo Skorpion Club di Milano. L’idea è nata quattro anni fa nei laboratori della South Florida University. Lenny Lowenstein, il suo ideatore (ed ex vicepresidente della catena americana 24 hours), aveva pensato che l’unico modo per portare i ragazzi in palestra fosse l’utilizzo di qualcosa che conoscevano bene, cioè la tecnologia.

Aprire un centro medio-piccolo: struzioni per l’uso

Ma come si fa ad aprire un piccolo centro fitness? «La dimensione minima è 120-150 mq, l’investimento base è di 35mila-40mila euro. Serve a ristrutturare il locale, acquistare qualche attrezzo e impostare la comunicazione per la startup» spiega Mazzotti. Per un centro di medio livello i costi salgono a 500 euro al mq, mentre le spese si riducono di molto se si decide di puntare su attività che non hanno bisogno di attrezzi, come yoga, pilates o corpo libero.

Per quanto riguarda la scelta della formula societaria, quella che meglio si adatta alle realtà medio-piccole è la “società sportiva dilettantistica a responsabilità limitata”. «Presenta numerosi vantaggi fiscali, come la possibilità di erogare i propri servizi istituzionali (cioè quelli legati appunto allo sport dilettantistico) senza l’applicazione dell’Iva e l’esclusione dal pagamento dell’Ires, l’imposta sul reddito delle società» spiega Mazzotti. «Agevolazioni che garantiscono margini più alti e consentono di corrispondere compensi più alti ai soci titolari, che hanno d’altra parte il divieto di di-stribuire gli utili». In Italia però sono molto diffuse le “associazioni sportive dilettantistiche”. «è una formula meno suggeribile e più rischiosa, perché gli organi direttivi sono responsabili in solido per le obbligazioni contratte dall’associazione» precisa Mazzotti. Qual è un’ipotesi di guadagno se operiamo in questo modo? Con una società sportiva dilettantistica non si possono superare 35mila-40mila euro all’anno di guadagno lordo. Se il titolare lavora solo come amministratore, la legge prevede che il suo compenso non superi 28mila euro lordi annui, mentre se lavora anche come istruttore i compensi salgono di qualche migliaio di euro.

Com’è il tuo closing ratio?

Ma per far funzionare davvero il proprio centro, occorrono competenze commerciali e di marketing. «Un indicatore da tenere sempre sotto controllo è il cosiddetto closing ratio, cioè il rapporto tra le persone che si iscrivono e quelle che vengono a visitare il nostro centro: se tale percentuale è bassa significa che ho un problema commerciale» spiega Mazzotti. Le variabili su cui occorre puntare sono la convinzione e la motivazione: i titolari di un centro fitness che hanno un’alta percentuale di “chiusura” sono quelli molto motivati, mentre i risultati più scadenti li hanno coloro che non sono convinti che il potenziale cliente si iscriverà. La filosofia è la stessa anche per i centri più grandi. Spiega Virgin Active: «Abbiamo 120 persone dedicate alla vendita, oggi la domanda va sollecitata un po’ di più rispetto a cinque anni fa e la vendita deve essere più proattiva, meno spontanea». A livello di marketing invece, un aspetto va tenuto sempre presente: il centro fitness è una realtà locale e le azioni di marketing devono essere altrettanto “localizzate”. «Se manca l’insegna, la segnaletica, le indicazioni per arrivarci, nessuno si accorgerà che abbiamo aperto una palestra. Può sembrare banale, ma a molti imprenditori sfugge questo aspetto» continua Mazzotti. «Occorre scegliere un nome semplice, facilmente memorizzabile, un logo che sia sempre uguale in termini di font, colori e proporzioni, indipendente dal supporto sul quale viene stampato, e dei colori sociali». Mentre il metodo che funziona di più per farsi pubblicità all’interno di un territorio è l’affissione “6 x 3 m”. C’è la possibilità di prendere degli spazi comunali a costi contenuti.

Aree benessere: sì o no?

È uno degli elementi fondamentali che determina l’evoluzione dei moderni centri fitness. Le cosiddette aree benessere comprendono nei grandi centri non solo l’area dove si fanno trattamenti di bellezza, ma anche le Spa (da salus per aquam, ossia le “aree acqua”) cioè quella zona aperta a tutti gli iscritti che comprende piscina, idromassaggio, cascate di ghiaccio, docce emozionali. Le grandi catene non possono esimersi dall’averne una al loro interno, perché garantisce un maggior appeal e, in alcuni casi, riesce a incidere per il 10% sull’intero fatturato. «È l’elemento più gradito ai nostri clienti ed è quello che ci differenzia rispetto ad altri club» conferma Valotta di Virgin Active. Per i centri più piccoli, dove la Spa può rappresentare un costo molto alto, non solo per l’investimento iniziale ma soprattutto per la manutenzione, si può optare per una piccola area benessere. Spesso però non è un effettivo centro di profitto, ma serve soltanto all’immagine del centro fitness. Una soluzione è quella di metterle a profitto giocando sulla redditività degli spazi invece che dei servizi. «Ho creato un’area benessere di 14 mq con sauna, bagno turco e lettini relax e a parte una piccola cabina per l’estetica, che affitto per tre mezze giornate a un massofisioterapista, un estetista e un nutrizionista» spiega Santucci di Audace Palestre. Prendono i loro appuntamenti e mi pagano una percentuale di quello che fatturano». Un’alternativa può essere la complementarietà: creare cioè un centro benessere nelle vicinanze di un’attività di fitness più tradizionale.

«Le opportunità ci sono, ma bisogna fare scelte strategiche molto ponderate, puntare sulla qualità ed essere preparati» conclude Patrizia Cecchi di Rimini Wellness. Insomma non esiste una ricetta magica, ma solo una serie di ingredienti che occorre saper dosare in maniera giusta per poter emergere: competenze gestionali, economiche, di marketing e commerciali. L’imprenditore del fitness e del wellness deve essere un imprenditore a tutto campo.

Le migliori tendenze 2011

› Body and mind

› Fitness all’aperto

› Ginnastica funzionale

(equilibrio, coordinazione, forza)

› Yoga: antigravity, yoga dinamico, Bikram yoga

› Training per gli addominali

› Divertimento

› Nuovi target: bambini, mamme, terza età

10 passi per intraprendere

1.  Analizza il mercato:

› bacino di utenza, chi e quanti sono i miei clienti potenziali?

› concorrenza, quali sono gli altri club della zona?

2.  Elabora un listino prezzi.

3.  Scegli la forma societaria.

4.  Richiedi permessi e formalità burocratiche: variano a seconda della regione, della provincia e del comune. Il consiglio è rivolgersi alla Camera di commercio relativa al proprio territorio.

5.  Prepara un business plan: ricavi attesi e costi (di gestione corrente e  investimento) che si dovranno sostenere. Solitamente si riferisce a un periodo temporale di tre anni.

6.  Fai una prevendita: consente l’acquisizione di risorse finanziarie necessarie a coprire i primi costi di ristrutturazione e acquisto dei macchinari.

7.  Vendi gli abbonamenti, tieni sotto controllo la percentuale di “chiusura dei contratti”.

8.  Occupati di marketing: tutto quello che serve per promuovere un centro.

9.  Fai pubblicità

10.  Fidelizza il cliente.

Grandi centri

Virgin Active: nuove aperture, tante opportunità di lavoro

Un format di grandi dimensioni (almeno 4mila-5mila mq), una localizzazione in zone facilmente raggiungibili con l’automobile e con ampie possibilità di parcheggio, un posizionamento rivolto alle famiglie, con attività e spazi dedicati ai bambini. Sono queste le caratteristiche dei centri Virgin Active, nati in Gran Bretagna nel 1999 dall’idea di Richard Branson e, in Italia, dal 2003 affidati alla guida di Luca Valotta, ligure, 40 anni. «Il mercato italiano è uno di quelli su cui Branson ha puntato di più. In otto anni abbiamo aperto 20 villaggi fitness, tutti di proprietà, e altre sei aperture sono previste nel corso del 2011. Un business ad alta intensità di capitale, considerato che l’investimento previsto per ogni club si aggira intorno a 10 milioni di euro. E offre anche tante opportunità di lavoro. «In ogni club lavorano circa 100 persone, tra dipendenti e liberi professionisti: receptionist, personale commerciale, customer service, istruttori di sala, personal trainer e addetti alla manutenzione». Uno speciale dipartimento formato da 10 persone riceve le candidature e si occupa della selezione, dell’inserimento e della formazione on job. «Preferiamo assumere persone alla prima esperienza. Questo vale anche per i personal trainer, liberi professionisti, che dopo un anno e mezzo hanno la possibilità di fare un esame interno e prendere la licenza di personal trainer dei centri Virgin Active». Aperture previste per il 2011: due a Milano, Torino, Verona, Firenze, Roma (Napoli e Catania nel 2012). INFO: www.virginactive.it

Come ti invento un allenamento

Addominali da urlo con lo strike zone

Ideare un metodo di allenamento e proporlo a palestre e personal trainer. È questo uno dei modi per entrare nel mercato del fitness in maniera imprenditoriale, ed è quello che ha fatto Enrico Olivieri, 37 anni, romano, inventore dello strike zone : un allenamento a corpo libero che mira a rafforzare i muscoli della parete addominale (o core, come si dice in inglese). «Facevo l’istruttore in un club, e un gruppo di miei allievi non amava fare gli addominali. Ho cominciato a pensare in che modo potessi rendere più interessante l’allenamento di questa parte del corpo. Così ho elaborato un metodo che si basa su quattro fasi di lavoro: esercizi dinamici, di forza, yoga e bilanciamento. Queste quattro fasi costituiscono il mio brevetto». Il progetto è iniziato nel 2002. Enrico ha prima fatto un’analisi di mercato per vedere se questa idea avesse buone possibilità di successo, l’ha fatta sperimentare a campioni di popolazione e solo nel 2005 l’ha lanciata nelle fiere di fitness. «A oggi le palestre che adottano lo strike zone in Italia sono un centinaio, ma il metodo è stato “venduto” anche in Ungheria e Romania e sono prossime le chiusure di contratti con altri 50 Paesi in tutto il mondo» dice Olivieri. Come si guadagna? Se una palestra o un istruttore free lance decide di proporre i corsi di strike zone, contatta la società che gli fornisce il corso di formazione (che costa 240 euro) e i Moma, cioè gli attrezzi, inventati e realizzati a mano dallo stesso Olivieri, che consentono di effettuare al meglio questi esercizi. Quanto si guadagna? «Si può andare da 50mila euro all’anno, se si rimane in un ambito regionale, a 100mila euro se lo si riesce a diffondere in tutta Italia. Questa cifra si moltiplica via via che ci si apre a nuovi mercati».

INFO: www.strike-zone.it

Scova un target

«Così abbiamo inventato la ginnastica col passeggino»

L’idea: MammaFit, un programma di allenamento che si rivolge alle donne nei primi mesi dopo il parto. Due ore a settimana per tre settimane costano 100 euro circa.

Fondatrici: Monica Taranto ed Elaine Barbosa, istruttrici di ginnastica e autrici del libro (nella foto, a sinistra) MammaFit In forma dopo il parto (Giunti, 8,50 euro).

Quando e dove: Hanno iniziato con la ginnastica nei parchi con il passeggino, oggi l’offerta si è ampliata alla ginnastica con il marsupio. I primi corsi si sono tenuti nella primavera 2010 al Parco Sempione di Milano. Quest’anno si stanno svolgendo oltre che a Milano (Parco Sempione, Parco Lambro e Parco di Trenno), in tantissime città italiane, da Varese a Roma, da Riccione a Cagliari.

Punti di forza: non è solo un programma di allenamento, ma anche un’occasione per le neomamme di socializzare senza mai separarsi dal proprio bambino.

Sviluppo dell’idea: Monica ed Elaine hanno creato un’associazione e costruito un sito. Investimento totale: 500 euro. Via via che l’idea riscuoteva interesse, hanno sviluppato un corso di formazione (che oggi si avvale anche della presenza di un’osteopata e un’ostetrica) per formare istruttori certificati, e creato un programma di affiliazione. A oggi gli affiliati sono 13.

Permessi: non è necessario chiedere il permesso al Comune per utilizzare un parco, ma è comunque buona norma farlo. Nel 2010 hanno ricevuto un contributo economico dal Comune di Milano, che ha permesso alle partecipanti al corso di pagare solo la quota associativa (40 euro).

Il franchising: oltre al corso di formazione si paga una fee annuale che dipende dalla popolazione dell’area di affiliazione (120 euro all’anno per un’area sotto 100mila abitanti, 200 euro all’anno tra 100mila e 200mila abitanti ecc.). Tale fee dà diritto alla visualizzazione del proprio corso nel sito di MammaFit (dove le mamme possono iscriversi online), ai template in formato elettronico per prodursi il proprio materiale pubblicitario, a utilizzare il database MammaFit con tutti gli indirizzi, e a essere inclusi nel programma di sponsorship. INFO: www.mammaf.it

Apri un centro innovativo

Quando il fitness è a testa in giù

A Milano, in zona Città studi, è stata aperta a gennaio una nuova palestra. Si chiama Audace Palestre e il titolare è Ciro Santucci, 36 anni, salernitano. Ex personal trainer, nell’elaborare l’idea ha messo insieme tutte le sue esperienze, viaggi e conoscenze. «Volevo una palestra che fosse diversa da tutte le altre. A New York ero stato colpito dai fitness club di David Barton, arredati con oggetti di design e opere d’arte. Ho affidato il progetto a un architetto dello studio Daniel Libeskind, mentre l’ambiente interno è stato curato dall’artista Deda Barattini, che ha creato pareti luminose che cambiano colore nell’arco della giornata con effetto cromoterapico. L’idea di fondo è quella di una palestra di quartiere, dove il cliente non sia un numero. E non vogliamo superare una persona per mq, che per noi è l’affollamento massimo consentito per star bene in una palestra». Anche i corsi sono innovativi. La sala circondata da vetrate ospita il Queenax, una nuovissima struttura montata a soffitto, che permette di attaccare le amache per fare le lezioni di degravity, e le corde e i moschettoni per il Fit Air, l’allenamento degli astronauti che simula l’assenza di gravità. Un progetto ambizioso, che ha potuto contare sull’investimento di una famiglia di imprenditori che ha sostenuto il costo dell’intero immobile per un investimento di 3,6 milioni di euro. Sono previste nuove aperture, e per chiunque voglia affiliarsi l’investimento si aggira intorno a 300mila euro. INFO: www.audacepalestre.com

Sfrutta un trend

«Il rugby è di moda? E noi lo portiamo in palestra»

Prendi uno sport di squadra, scegli la sua parte di allenamento più divertente e portalo in una palestra. Risultato? Un fit-sport. È l’idea che hanno avuto l’anno scorso due professionisti del rugby, Michele Bazzeato e Gianfranco Beda, 39 e 43 anni, preparatori atletici rispettivamente del Rugby Rovigo e del Petrarca Padova, inventori del Fit Rugby. «Volevamo creare un allenamento che sviluppasse la resistenza cardiovascolare e consumasse calorie, il fitness secondo noi stava sconfinando un po’ troppo nell’olistico» spiega Bazzeato a Millionaire. «Per renderlo fruibile a tutti, abbiamo scelto la parte più divertente dell’allenamento del rugby: passaggi di palla, sfide uno contro uno, approcci alla mischia e agli sfondamenti. Il tutto sotto forma di gioco». Michele e Gianfranco hanno scelto il momento giusto per lanciare il nuovo format: intorno al rugby sta crescendo l’interesse e proprio quest’anno (dal 9 settembre al 23 ottobre) si svolgeranno i Mondiali in Nuova Zelanda. «Dopo appena un mese dalla registrazione del marchio, siamo stati contattati dalla palestra Downtown di Milano, e da settembre 2010 è partito il primo corso di Fit Rugby. A oggi sono già circa 80 gli istruttori formati. Un risultato superiore alle aspettative, che ci ha consentito di ripagare ampiamente il nostro investimento iniziale già nel primo anno di attività». INFO: www.fitrugby.it

Importa un metodo dagli Usa

Nove settimane per diventare un guru hot

«Avevo 24 anni e lavoravo a Orlando, in Florida, nell’ufficio stampa di una multinazionale, quando ho sentito parlare per la prima volta di Bikram yoga: una sequenza di 26 posizioni yoga in un ambiente riscaldato a 40 °C. Due anni dopo ero a Los Angeles per frequentare il corso per istruttori: 100 persone chiuse in un residence per una full immersion di nove settimane, dal lunedì al sabato, dalle otto del mattino fino a notte fonda (oggi ai corsi partecipano 400-500 persone e si tengono in grandi alberghi, ndr). Le lezioni di yoga si svolgono due volte al giorno e durano 90 minuti l’una: l’insegnante ti mostra le posizioni e nel frattempo recita il cosiddetto “dialogo”, una specie di copione che illustra tecnicamente gli esercizi. Gli allievi devono subito impararlo a memoria, perché saranno chiamati a guidare le lezioni e recitarlo davanti all’insegnante. E poi lezioni di anatomia, filosofia yoga, posture si susseguono durante tutto l’arco della giornata. Si viene valutati su tutto, con continui esami e test. Il teacher training dà la possibilità di diventare istruttori certificati e di aprire uno studio di Bikram yoga in franchising». Isabella Zuanelli Ponzo, 36 anni, romana, ha aperto a Roma nel 2008 il primo studio di Bikram yoga in Italia. L’unico altro studio si trova a Pordenone. «Ho aspettato fino al 2005 prima di portare il Bikram yoga a Roma. Ho affittato una piccola sala, ho comprato stufe e tappetini e ho cominciato a spargere la voce tra amici e conoscenti. Per due anni e mezzo è stata durissima, pochissima gente veniva alle lezioni. Poi uno dei miei studenti mi ha proposto una partnership per fondare una società. Senza il suo apporto non ce l’avrei mai fatta. Oggi nel mio studio si svolgono quattro lezioni al giorno tutti i giorni, domenica esclusa, ognuna di esse raccoglie circa 40-45 persone. A fine anno aprirò un altro studio a Roma,  anche a Milano c’è chi è disposto a investire». Il teacher training si svolge due volte l’anno in una diversa località degli Stati Uniti. Il prossimo corso si terrà dal 18 settembre al 19 novembre al Radisson Hotel di Los Angeles.

INFO: www.bikramyoga.com, www.bikramyogaroma.it

Punta sul low cost

Cattura il cliente con la flessibilità

Un gruppo di imprenditori milanesi proprietari di palestre una sera si incontra a cena e pensa: perché non inventiamo qualcosa di nuovo per il mondo del fitness? Detto fatto. Nasce così l’idea di 20 hours, la catena di palestre (si trovano quasi tutte a Milano, ma ci sono affiliati a Roma e Bari) che ha abbattuto la barriera “tempo-spazio”: è aperta dalle sei del mattino alle due di notte (non in tutti i centri) e consente di accedere con lo stesso abbonamento a tutte le palestre del gruppo. Da un paio d’anni il suo nome è cambiato in 20 hours & Best Price e propone il prezzo degli abbonamenti personalizzati: da nove euro all’anno per frequentare in fasce orarie ridotte, a 790 per accedere a tutte le palestre del gruppo senza alcuna limitazione (la media è 300 euro). «Il principio è pagare quello che si utilizza ed evitare gli sprechi» spiega Alessandro D’Alessandro, 33 anni, responsabile di uno dei centri di Milano e portavoce della società. «Una politica che ha premiato, considerando che gli iscritti a oggi sono 60mila». Dal 2007 hanno introdotto (in cinque centri, tutti a Milano) la formula 20 minutes, piccole palestre (da 500 a 700 mq) progettate per chi ha “solo mezz’ora di tempo”: programmi di allenamento di 20 minuti, spogliatoi ridotti all’essenziale (alcuni senza doccia), macchine per pulirsi le scarpe da ginnastica ed evitare così di cambiarsi le scarpe all’arrivo in palestra. INFO: www.20hours.it

Una storia esemplare

«Così ho trasformato lo Zumba fitness in un impero»

Durante gli anni 90, Beto Perez era uno squattrinato istruttore di aerobica colombiano. Poi un giorno, in maniera del tutto casuale, inventa lo Zumba fitness e diventa multimilionario. Arrivato alla sua lezione senza musica, prende dalla borsa un po’ di nastri di musica latino-americana e improvvisa passi di aerobica a passi di salsa, merengue, rumba e samba. Oggi lo Zumba fitness conta 10 milioni di appassionati in tutto il mondo, 90mila centri in 110 Paesi, tre collezioni di dvd, una linea di abbigliamento e un videogame per Nintendo Wii. «Quel giorno non sapevo di aver inventato qualcosa di nuovo. Ma vedevo la gente che continuava a tornare alle mie lezioni e portava gli amici» ha raccontato Perez, 40 anni, a Millionaire. Intuito il business, Beto decide di provare il “grande salto” e nel 1999 si trasferisce a Miami. «Questa città rappresentava per me il “sogno americano”. Ma non avevo soldi e non parlavo una parola di inglese». Le sue lezioni hanno successo e, nonostante riceva proposte di investimento da imprenditori americani, sarà con due giovani colombiani (anch’essi poveri) che le cose cominceranno a girare per il verso giusto. «Fu una coincidenza incredibile. La mamma di Alberto Perlman, uno dei miei futuri soci, frequentava le mie lezioni e suggerì al figlio di propormi un business. Ci incontrammo da Starbucks, e con 2.500 dollari registrammo il marchio nel 2001 e, tramite la telepromozione, lanciammo dei video che consentivano di praticare il programma di Zumba fitness da casa. In poco tempo vendemmo centinaia di migliaia di copie».

INFO: www.zumba.it

 

Tiziana Tripepi, Millionaire 5/2011

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