I cinesi in Italia fanno i soldi. Perché noi no?

Di
Redazione Millionaire
23 Agosto 2012

Gli imprenditori cinesi in Italia non conoscono crisi. Lavoratori instancabili, hanno un solo obiettivo: accumulare denaro nel minor tempo possibile. La loro è un’invasione silenziosa. Se parlano, in cinese, pochi li capiscono. Ma qualcosa da imparare c’è

Due passi a Milano. Una via qualsiasi, due bar: cinesi dietro i banconi. Più avanti, un parrucchiere e una lavanderia, con riparazioni sartoriali. Cinesi. La pizzeria offre anche piatti etnici di altri Paesi. Cinesi servono al tavolo, in cucina sono loro a spadellare. Al civico successivo, il tariffario del parrucchiere sembra pieno di errori: shampoo e piega, 6 euro. Manca uno zero? No, sono i prezzi applicati dai titolari cinesi, dalle nove di mattina a tarda sera.

In 30 anni, da pelletteria e ristorazione, i cinesi sono approdati all’import e commercializzazione di abbigliamento, giocattoli e casalinghi. In seguito, hanno impiantato attività produttive: abiti e accessori. Oggi i loro business emergenti sono parrucchieri e trattamenti estetici.

 Il loro obiettivo? Fare soldi in tempi brevi

È un’imprenditoria fai da te che provoca grandi danni alla nostra. Gli italiani cedono volentieri i loro esercizi, dietro offerte generose, in contanti

spiega Giorgio Trentin, sinologo, docente universitario e direttore dell’Istituto Confucio di Macerata, uno dei centri per la diffusione della lingua e della cultura cinese nel nostro Paese.

Nei luoghi di residenza di comunità cinesi, poco a poco, scompaiono gli imprenditori italiani. È evidente in alcuni poli industriali, dove le aziende cinesi hanno avuto un successo straordinario, spesso legato allo sfruttamento della manodopera. E hanno goduto della legge sui Made in Italy, molto permissiva.

Nel tessile, ne hanno approfittato le imprese italiane, per finire in Italia quello che fabbricano all’estero per risparmiare. E ne approfittano i cinesi, che fanno lo stesso gioco, ma sono più veloci e aggressivi. Furberie, quindi, ma nella piena legalità.

La conquista dei piccoli esercizi è in atto già da anni.

L’obiettivo è fare più soldi nel minor tempo possibile

spiega Mario Portanova, autore di “Chi ha paura dei cinesi” (Rizzoli, 9,80 euro).

Un bar non lo aprono per passione, ma per generare reddito. Più tieni aperto, più incassi. Non sono richieste competenze, è un’attività semplice, gestibile a livello famigliare: giovani coppie vi passano l’intera giornata. I bambini stanno nel retro, i parenti danno supporto.

Comprano, soldi alla mano. Cifre rilevanti, tra licenza e buonuscita.

L’economia cinese funziona in contanti, banche vade retro

In un’economia comunista, la sfiducia verso le banche è diffusa. È tipico che i parenti in Cina affidino a chi espatria i propri risparmi, per farli rendere in un’attività da noi. Dall’Italia, poi, parte un fiume di denaro. In Cina, un operaio guadagna 100, 150 euro al mese. Da noi circa 1.000.

I soldi che non spende, vivendo con poco all’interno della comunità cinese, li invia a casa. E con quelli i parenti investono in nuove attività. Pagare in contanti non implica di per sé illegalità. Ma il nero c’è. A cominciare dalle buonuscite extra per l’italiano che vende, che non figurano e non vengono tassate.

Portanova segnala l’esistenza di un circuito economico parallelo nella comunità cinese, banche clandestine nel retro di altre attività.

I cinesi non depositano soldi nelle banche italiane nei quartieri cinesi. Al massimo incassano assegni o versano i soldi necessari, appena prima di una spesa.

Gli imprenditori cinesi a volte falliscono, ma coi loro soldi.

Un approccio economico diverso da quello che si è instaurato in Italia. Da noi le imprese hanno un approccio finanziario e speculativo, coinvolgono le banche, che non a caso sono quelle che guadagnano anche in tempi di crisi

spiega Trentin. Le imprese cinesi vanno come treni a vapore. Ma il carbone sono gli uomini. Spesso immigrati clandestini.

La maggior parte degli operai si sacrifica per libera scelta. Ammazzandosi di lavoro, uno può salire, diventare imprenditore e fare fortuna

afferma Trentin.

Lo sfruttamento arriva anche al soggiogamento, con persone che dormono e mangiano negli stessi spazi angusti dove lavorano, per quasi tutto il giorno.

Perlopiù i lavoratori cinesi si sottopongono al superlavoro volontariamente, per tornare a casa con un bel gruzzolo. Ci sono quelli che s’indebitano anche per 10mila euro con le organizzazioni dell’immigrazione clandestina e lavorano per anni per ripagare il debito, magari garantito dai famigliari già in Italia. Spesso è una libera scelta

osserva Portanova.

Per gestire l’onda cinese, dobbiamo imparare la lingua

Indipendenti dal sottobosco imprenditoriale, oggi crescono imprese di più alto profilo, a opera della crema della borghesia cinese in Italia, un’élite che ha creato piccoli imperi economici e ha elevata capacità di acquisto, è diventata consumatrice di generi di lusso: vini da 100 euro a bottiglia, suv, belle case, vacanze sulla neve…

I figli studiano alla Bocconi, facoltà con sbocchi pratici, Economia o Ingegneria. Non si rifiutano di lavorare nell’impresa di famiglia, anche nei ruoli più umili. Per loro, le scelte pragmatiche e l’impegno nel lavorare sodo portano al salto di qualità. Prima negli studi, poi nelle imprese.

Deve crescere la conoscenza e la consapevolezza di quest’onda pericolosa. Bisogna imparare la lingua, stabilire regole chiare e condivise e trovare un accordo. Per le autorità italiane, il solo controllo di un documento, di un diploma o di un permesso è difficilissimo

spiega il sinologo.

[blockquote align=”center” variation=”orange”]Il sistema burocratico cinese è più duttile del nostro. Comuni, province e regioni possono stipulare patti locali per lo sviluppo d’imprese, in autonomia. Il governo centrale li favorisce, perché poi gode delle ricadute positive nelle sue casse delle imposte. In realtà, per lo sviluppo in Italia, le aziende cinesi di alto profilo hanno canali preferenziali, con agevolazioni governative.

Le attività di basso profilo vivono in un sottobosco di libertà economica che il Governo italiano tollera. La loro forza? I cinesi rinunciano alle sottoprofessionalità di cui l’Italia vive: uffici tecnici, manager, consulenti… Puntano sui rapporti interpersonali, sulla rapidità nella realizzazione di un’impresa. Agili, intraprendenti.

Resta il dramma dello sfruttamento. Ma in questo, anche gli imprenditori italiani hanno responsabilità. Quando non promuovono la formazione dei loro operai, puntano sullo sfruttamento degli stagionali[/blockquote]

conclude Trentin.

«Lavoriamo a “cottimo”, è vero, ma rispettiamo le regole»

I cinesi non fanno concorrenza spietata. Coprono fasce di mercato non coperte da imprese italiane.

Ma come?

Negli alimentari al dettaglio, per esempio, offrono prodotti che i grossisti italiani non distribuiscono, marchi non conosciuti. Nell’estetica e massaggi, i cinesi non hanno remore davanti a certe attività, alla fatica psicologica e fisica, per molte ore al giorno. Purché non richiedano specializzazione e si adattino a una struttura familiare. Parrucchieri ed estetisti sono ideali.

I bar?

Gli imprenditori cinesi rilevano attività molto faticose, che i titolari non vogliono più condurre. E i loro figli, dopo la laurea, preferiscono attività più gratificanti. Chi vende è interessato anche alle buonuscite, che sono consistenti. I bar di quartiere, in zone più marginali e meno sicure, agli italiani interessano sempre meno.

Cosa dice delle condizioni di lavoro?

Promiscuità abitativa e lavorativa, orari lunghi, cottimo. È tutto vero. Ma è anche vero che i committenti italiani impongono tempi brevissimi. E i cinesi li rispettano, per avere le commesse.

Come fanno a trovare soldi per partire?

L’80% dei cinesi arriva dalla zona dello Zhejiang, che ha circa 55 milioni di abitanti, con dialetti diversi e mille associazioni. Un’area con una forte economia di mercato, anche nel regime comunista. Questa rete solidaristica e territoriale si mantiene anche in Italia. Un imprenditore, qui, si sente in obbligo morale di aiutare chi viene dal suo Paese.

Gli imprenditori italiani, specie nell’estetica, dicono che non rispettate le regole, è vero?

Siamo soggetti a molti più controlli degli italiani. Perché i concorrenti sono pronti a fare “soffiate” all’autorità, alla minima irregolarità. Ogni situazione va vista a sé.

E i problemi di sfruttamento del lavoro?

Valgono per tutti gli stranieri. I sindacati per primi stanno capendo che gli immigrati sono una risorsa. Per molti cinesi lo status di lavoratore è transitorio, in attesa di diventare imprenditori.

I cinesi non si sentiranno mai italiani?

Per i cinesi la cittadinanza italiana è difficile da ottenere. E solo con la rinuncia al passaporto cinese. È una perdita forte d’identità.

Come migliorare le contrapposizioni?

Con la cultura, la diffusione della lingua e la preparazione di personale in grado di fare da tramite. Nelle istituzioni, negli organismi di controllo. È quello che facciamo con l’Associna.

 

Silvia Messa, Millionaire 11/2011

logo-footer
Il mensile di business più letto.

Direttore responsabile: Federico Rivi

Editore: Millionaire.it Srl Indirizzo: Largo della Crocetta, 2 20122 Milano (MI) Italy

Partita IVA: 12498200968 – Numero iscrizione ROC: 38684

© 2024 millionaire.it.