Ricco con un’idea

Di
Redazione Millionaire
6 Agosto 2012

Dall’israeliano che ha inventato gli emoticon al milanese che ha diffuso gli orologi colorati di silicone. Dal giovane che fatturerà cinque  milioni di euro con una T-shirt al sognatore che ha trasformato una chiatta in un ristorante in mezzo al mare. Storie di belle idee alla portata di tutti

Faceva il broker alla Borsa di Tel Aviv. Una sera, 10 anni fa, Ofer Adler è andato al cinema a vedere Mission Impossible e ha trovato l’idea per inventare gli emoticon, quelle faccine gialle che oggi girano su 300 milioni di e-mail. Come ha fatto? Ha semplicemente copiato Tom Cruise. Sullo schermo, quando l’attore invia un’e-mail, si vede il disegno di una bustina che si chiude e se ne va. Bel programma. Il giorno dopo Odler lo cerca e non lo trova. Scopre che è solo una fantasia degli sceneggiatori. E allora perché non inventare qualcosa di divertente per chi manda le e-mail? Con un cugino informatico studia faccine, stelline, musichette. Nascono gli emoticon, che oggi girano in tutto il mondo. L’applicazione di IncrediMail è diventata la più popolare del Web, dopo Outlook. Ofer ha 110 dipendenti, fatturati milionari e per azienda un capannone anonimo a Tel Aviv. La sua storia ci insegna che in fondo gli emoticon avremmo potuto inventarli anche noi. Se solo avessimo avuto l’idea di copiare Cruise. Da Tel Aviv all’Italia, passando per la Francia. Abbiamo scoperto giovani che grazie a un’idea hanno realizzato i loro sogni. Il che non significa sempre raggiungere fatturati milionari, ma fare quello che piace. E trovare sul mercato uno spazio, piccolo o grande che sia, per la propria idea. Non si è ricchi solo di denaro, ma anche di traguardi raggiunti. E della soddisfazione di vedere che quello che immaginavamo è diventato realtà.

Non è mai troppo tardi per mettersi in proprio

Si occupava di noleggio auto, ma aveva da sempre il pallino di sfondare. Poi è andato a New York, ha preso alcuni orologi colorati da regalare agli amici. Piacevano a tutti. Ha fiutato il business e in due anni ha decuplicato il suo giro d’affari

2007. Fuga a New York. Alessandro Fogazzi visita il MoMA e nello store del museo compra cinque orologi.  «Piacevano a me e agli amici cui li ho regalati. Ne ho tenuto uno, colorato, con il cinturino in silicone, e ho pensato: se tutti li vogliono, perché non guadagnarci?». Si aprivano due strade: acquistarne un certo numero e rivenderli. Oppure fare business in grande.

Fogazzi ha scelto questa strada. Contatta l’azienda che produce gli orologi per il MoMA, acquisisce i diritti del disegno e crea un suo marchio, Too late, “Troppo tardi”. «La prima fase è stata di test. Ho distribuito l’orologio in 20 negozi, dove si vendeva bigiotteria di livello medio-alto. Entro l’estate, i negozi erano diventati 40». Il test è positivo, tanto che Fogazzi allarga la licenza a tutta Europa. E migliora il prodotto, nel gennaio 2008, rendendolo resistente all’acqua. Crea una confezione particolare: un vasetto di vetro e acciaio, che molti negozianti riempiono d’acqua, per esaltare il prodotto.

«Sono partito con 15mila euro di risparmi. E stiamo raggiungendo un fatturato di 5 milioni di euro. Nel 2008 abbiamo dato una struttura all’azienda: comunicazione e logistica. Oggi siamo ancora più grandi e siamo arrivati al terzo trasloco». Problemi? «Le imitazioni. Non tanto quelle dei venditori ambulanti, ma quelle di alcune aziende italiane che ci scimmiottano. Il nostro prodotto piace ai clienti e ai rivenditori che prima magari avrebbero storto il naso per un orologio colorato e in silicone. Invece Too late comincia ad attecchire anche in Europa. Abbiamo subito creato un ufficio estero per seguire i nuovi mercati, compresi Australia e Nuova Zelanda. E aperto una piccola sede a Los Angeles per penetrare negli Usa. Abbiamo acquisito una licenza mondiale, esclusi Sudafrica e Giappone, dove però stiamo cercando un licenziatario».

Fogazzi non si ferma: ha presentato al Macef un portafoglio in silicone colorato, con portapreservativo e una tasca di jeans, come packaging (19 euro).

INFO: www.too2late.com

Ecco gli ingredienti per una T-shirt che funziona

Metti il cocktail preferito su una maglietta. Mojito o Cuba libre? Vendila agli amici, che per cocktail, T-shirt e riti di gruppo vanno pazzi. Così Mattia Mor ha creato un’azienda che fattura due milioni di euro all’anno

Come le è venuta l’idea delle T-shirt cocktail?

«Avevo 17 anni e disegnavo sulla Smemoranda, inventavo magliette con i nomi di cocktail. Ne ho fatte stampare 200 e sono andate a ruba tra gli amici. La cosa si è fermata lì. Ho proseguito gli studi, mi sono iscritto alla Bocconi. Ma prima di laurearmi, avevo voglia di avviare un’impresa mia. Mia madre insegna, mio padre è ingegnere navale. Non mi hanno ostacolato, ma non mi hanno appoggiato economicamente, lo vedevano quasi come un gioco da studente. Invece, fare l’imprenditore mi sembrava uno sbocco naturale. Finita l’università, ho lavorato in uno studio di consulenza, Bain, a Milano. Ma l’ho lasciato, nel 2006, per fondare Blomor. Ho affrontato il rischio. Senza paura. Passo dopo passo. Lavoro ogni giorno 12-16 ore e non mi ricordo un weekend libero. Ma non mi pesa».

Come ha trasformato un’idea in un’attività?

«Nel 2004-2005 ho ripreso il progetto di quando ero ragazzo. Ho fatto un brainstorming con i miei amici. Quella dei cocktail sembrò l’idea più adatta a un pubblico giovane. Tutti hanno un cocktail preferito. Ho disegnato una prima collezione di sette T-shirt. Le prime le ho vendute agli amici. Un investimento praticamente nullo, un guadagno di un centinaio di euro. Poi ho creato il packaging: shaker colorati. I primi clienti sono stati negozianti di Milano e Genova. Da quei sette soggetti, oggi sono arrivato a una collezione di 200 capi, per uomo, donna e bambino. Dal 2005 ho sviluppato la rete dei rappresentanti multimarca. Oggi sono 13, su tutto il territorio. Un gruppo che lavora bene, tanto che ogni anno abbiamo avuto una crescita del 100% del fatturato e siamo arrivati a fornire 400 negozi. Dal 2004 al 2006 abbiamo sempre reinvestito i guadagni. Mai avuto prestiti, parlato con una banca, aperto un fido».

Il momento del successo?

«Nel 2007. Ho incontrato due persone fondamentali per lo sviluppo di Blomor. Emanuele Rubino, il mio attuale fornitore. Un imprenditore partito da zero, con 30 anni di attività alla spalle. Mi ha dato fiducia e avviato la produzione dei capi in Cina. Lo pago dopo gli incassi. E questo mi permette di continuare a sviluppare l’attività utilizzando il capitale circolante. Rubino, di fatto, mi finanzia. La seconda persona importante è il mio designer Iucu. L’ho conosciuto a Pitti Uomo. Un creativo “esagerato”: si è offerto di risistemarmi la collezione gratis. L’ho lasciato fare. Mi sono trovato così bene, che la nostra collaborazione è diventata fondamentale. Oggi, è anche socio interessato agli utili».

Quali sono i problemi della sua vita di imprenditore?

«Il problema più grosso è la copia delle nostre magliette coi cocktail. È stata una scoperta dolorosa. Questo significa processi, cause, seccature. Per il resto, non c’è mai stato un momento in cui abbia pensato che non ce l’avrei fatta».

Qual è stato il momento più fortunato?

«Un buon investimento è stato l’accordo con un amico, Matteo Branciamore, un giovane attore della fiction I Cesaroni. Indossa le nostre magliette e le ha fatte conoscere ai telespettatori. Una sponsorizzazione importante».

I nostri lettori amano il business delle T-shirt. Un consiglio per loro?

«Questo è un business che piace perché è un modo immediato e diretto di applicare la creatività di un giovane. Ma se ne prendono di porte in faccia. Bisogna fare qualcosa di originale, perché sia apprezzato. Da un punto di vista pratico, ridurre al minimo la struttura. Noi siamo in due».

INFO: www.blomor.com

C’è crisi? e io faccio dischi con il pc

Conoscete Bugo? Probabilmente il nome non vi dice nulla. Artista alternativo, è riuscito a convincere una major a credere in lui. E il suo album ha venduto 50mila copie

Ha iniziato dal nulla nei circuiti alternativi della musica ed è riuscito a convincere una major discografica, la Universal, a investire su lui. Oggi è al suo settimo disco. E l’ultimo l’ha fatto con il pc. Si fa chiamare Bugo e piace per la sua voglia di sperimentare. Nel 2008 il suo singolo C’è crisi, con il videoclip girato in una lavanderia, ha venduto 10mila copie.

Come ha cominciato?

«Sono nato in provincia di Novara. Non sono figlio di artisti. A casa nostra non avevamo neanche uno stereo. A 17 anni, alcuni amici mi hanno portato a vedere un gruppetto che suonava, in sala prove. Mancava il batterista, l’ho sostituito io. Al liceo, poi, mi sono appassionato alla poesia. Poi l’ho unita alla musica. Per anni ho suonato la batteria, ma la chitarra mi permetteva di cantare quello che scrivevo».

Quando ha pensato che la musica poteva diventare la sua attività?

«Non ho una voce accademica e non ho studiato musica. Ho imparato guardando gli altri. Ma ho dimostrato che con la forza di volontà, la tenacia e il lavoro si può trovare un posto nel mondo artistico. In effetti, non mi piace lavorare. Mi agita! Visto che all’università non procedevo, ho lavorato per quattro anni con mio padre. È un imprenditore del ferro. Con lui ho imparato a trattare con la materia prima, i clienti e i fornitori. Intanto crescevo e mi chiarivo le idee. Volevo fare l’artista perché mi illudevo che fosse facile: soldi, ragazze, successo. Invece, col tempo, ho capito che non era così: tra impegni musicali e artistici, di lavoro ne ho tantissimo. Ma mi piace».

Qualcuno la vede come un personaggio libero dalle logiche commerciali…

«Le prime registrazioni le ho autoprodotte. Sono con la Universal dal 2002, ma mi sono mantenuto indipendente. Quando ho firmato con la mia etichetta, vivevo già da un anno a Milano, grazie ai miei risparmi. All’inizio non avevo neppure un manager. Dal 2005 mi affianca e si occupa delle cose pratiche Gianni Cucchi. Mi sento un eterno emergente, mai arrivato. E spero di sentirmi così per tutta la vita: mi tiene sveglio!».

Che rapporto ha con la fama?

«Ogni artista vuole essere famoso. Io seguo tutto il percorso di promozione di un album: collaboro coi grafici per la copertina, coi registi per i videoclip, scelgo i vestiti per i concerti, le foto».

Consigli a chi vuol fare l’artista?

«Continuate a fare quello che vi piace, seguite i vostri interessi. E cercate di capire se avete talento. Sono cose che si sentono, anche prima di avere conferme reali. Poi, con determinazione, cercate persone che vi possano capire. Non scorciatoie come X Factor». INFO: www.bugo-net.it

È una zattera in mezzo al mare la mia ottava isola

Ha comprato una chiatta affondata, fatta di ferro e lamiera, l’ha recuperata totalmente. E, dopo infinite peripezie, l’ha trasformata in un locale di charme, nell’arcipelago della Maddalena, realizzando un sogno che aveva da 30 anni

I sogni non hanno età. Enzo Barretta voleva realizzare una chiatta-ristorante da 30 anni e nel 2009 ci è riuscito. Ha costruito bellezza e business: L’ottava isola è il nome che ha dato al suo locale galleggiante, nell’arcipelago della Maddalena, in Sardegna. Qui fa il ristoratore da 51 anni, e figlio di ristoratori, a 60 anni ha l’entusiasmo, la passione e la voglia di fare di un ragazzo. Oggi ha una nuova compagna, una famiglia allargata attorno, che condivide il suo lavoro e i suoi obiettivi. Ma il suo sogno è nato con la prima moglie, 20 anni fa. «Quattro anni fa sono rimasto vedovo. Ho deciso che il sogno che ho condiviso per una vita con mia moglie andava realizzato. Mi sono messo alla ricerca di un’imbarcazione adatta. Ho girato un’infinità di porti. E poi ho trovato una zattera di ferro e lamiera, di 500 mq, a La Spezia. Era affondata, quindi l’ho acquistata a basso prezzo, ma ho dovuto tirarla a galla e risistemarla. Tra tutto, ho speso un milione di euro. Nuova sarebbe costata il doppio». Barretta butta giù con il computer il progetto di recupero, con un amico geometra. Poi, segue personalmente i lavori, guidati da uno studio di ingegneri. «Sono rimasto a La Spezia per sette mesi. Ero presente in ogni fase, ho anche lavorato gomito a gomito con il carpentiere. Mio figlio non vedeva l’ora che tornassi a occuparmi del locale alla Maddalena. Ma il mio posto era lì, accanto al mio sogno che prendeva forma». La forma era quella di una spiaggia galleggiante, con vera sabbia. «Gli ultimi lavori sono finiti a maggio di quest’anno. Ci sono voluti tre anni per posizionare la chiatta, che pesa 400 tonnellate. Galleggia, ma è perfettamente immobile. Non esistevano precedenti, i permessi non arrivavano. Ora sarà più facile per altri. Si deve chiedere tutto alla Regione. In questi tre anni, di fatto, non ho potuto lavorare. Ho finanziato tutto con i proventi dell’altro ristorante. L’autorizzazione è arrivata la scorsa estate, ma l’attività è cominciata nell’agosto di quest’anno. Abbiamo investito circa 3.000 euro in pubblicità. Ma è il passaparola che funziona. I clienti sono i passeggeri dei panfili, che ormeggiano e vengono a mangiare. Ma l’atmosfera della sera e della notte, nel silenzio, è davvero suggestiva». Un menu completo costa circa 80-100 euro. Lo spazio è molto ampio e permette di organizzare feste ed eventi. «La stagione è andata abbastanza bene, ma di fatto siamo stati aperti solo un mese. Il fatturato, quest’anno, è stato circa il 15% dell’investimento: spero di ammortizzarlo in quattro-cinque anni. Mi sono sentito spesso dare del pazzo e del sognatore. Ma non mi sono mai arreso. Nessuno mi ha aiutato. Anzi, ho dovuto affrontare gli ostacoli posti dai politici locali. Ma ce l’ho fatta. Tutto si può fare. Anche un sogno come il mio. Ci vuole fantasia. E coraggio. Ora mi contattano in tanti e io non ho preclusioni per chi mi porta idee coraggiose. Purché siano persone serie».

INFO: www.ottavaisola.it

L’idea in cerca di finanziatori

Ingegnere di giorno, studioso di Psicoterapia nel tempo libero, partecipa a un concorso internazionale della Nokia e arriva secondo. Unico italiano. Ha inventato una “lista della spesa” per cellulari.

Marco Lobb ha 25 anni. Per festeggiare la sua laurea in Ingegneria gestionale, al Politecnico di Torino, voleva comprarsi un cellulare. Notò un concorso della Nokia. Bisognava inviare una propria idea per una nuova funzionalità del telefonino. «Bastava una descrizione qualitativa» racconta Marco. «Ho pensato a qualcosa che interessa tutti: la lista della spesa. Già c’era la possibilità di scriverla, sul cellulare. La lista però doveva essere allargata a vestiti, elettrodomestici e altro. La nuova funzionalità avrebbe dovuto avvisare l’utente quando si fosse trovato a meno di 100 metri dal negozio che vende il prodotto. Cosa possibile con una connessione costante a Internet e un Gps». L’idea è stata inviata a marzo. Ed è piaciuta. Le prime valutazioni positive arrivano dalla community degli utenti web. Marco è inserito in una rosa di 50 finalisti, poi in una più ristretta di 10. Alla fine, è stato selezionato tra i primi quattro al mondo. E invitato ad aprile a Monte Carlo, per sviluppare tecnicamente la sua idea, Shopping List Widget, con uno staff di specialisti. «Ero l’unico italiano. Gli altri erano un canadese, un messicano e un inglese. Sono arrivato secondo. Primo, il messicano. La sua idea è piaciuta più della mia perché cavalca la moda di Facebook. La sua applicazione permette di localizzare geograficamente gli amici di Facebook vicini. Sono orgoglioso del mio secondo posto». Dopo Monte Carlo, Nokia ha messo on line una demo della piattaforma. E Marco? «Nessun vantaggio economico. Mi hanno regalato il cellulare. Ma l’idea può essere sfruttata commercialmente. Serve un investitore per costruire un database di aziende, raccogliendo inserzioni sul territorio». In attesa di chi creda nella sua idea, Marco si dà da fare: lavora come consulente in un’azienda siciliana e continua a studiare in una scuola di Psicoterapia. «Non voglio la mentalità chiusa da ingegnere. Con questi studi stimolo la mia mente creativa». INFO: marcolobb@gestalt.it

Io giullare, ho creato un’impresa

Specializzato nel fare scherzi clamorosi, in Francia è un mito

Umorista, giocherellone, guastatore, perturbatore pubblico della risata… Come definirlo? A Rémi Gaillard, francese, 34 anni, piace fare scherzi che non passano inosservati. E filmare il tutto per assicurare a chi guarda pillole di ilarità e gag disarmanti, che in genere coinvolgono anche ignari partecipanti. I media francesi lo amano e lo odiano, per le sue performance. Celebre la partecipazione alla finale della Coupe de France di rugby, dove si finse un giocatore della squadra vincitrice e ricevette il saluto del presidente francese Jacques Chirac, oltre agli onori dei flash e del pubblico.

«Di fatto, ho creato un’impresa. Si chiama N’importe Quoi Tv. Giro video che poi metto in onda su Internet. Così ho realizzato il sogno di fare quello che voglio nella mia vita» racconta Rémi.

Come ha cominciato?

«Guardando delle telecamere nascoste, alla tv francese. Ho pensato che sarebbe stato difficile fare peggio. Così ho cominciato a realizzare dei film, misurando a grandi passi le strade della mia città, armato di una semplice videocamera».

Quando le sue gag hanno iniziato a diventare un attività che dà profitti?

«Il botto di celebrità c’è stato nel 2007, con il video in cui tiro una pallonata a un camion della polizia (foto in alto a sinistra). Il video è stato visto 15 milioni di volte. In totale i miei video sono stati visti 420 milioni di volte. Dopo questa audience, molti sponsor si sono interessati a me. Ho guadagnato del denaro, certo, ma non è quello che mi interessa».

Quanto costa organizzare una gag con riprese video?

«Mi costa soprattutto tempo. Lavoro con i mezzi che ho a disposizione, poca cosa. E i cameraman sono amici che mi vogliono bene».

Qualcuno l’aiuta o la finanzia?

«Un negozio di allestimenti per feste mi presta dei costumi, tutto qui. Per il resto, ho investito solo il mio denaro».

Come capisce se una gag farà ridere?

«La cosa più dura è trovare idee. E per capire se un’idea è buona bisogna girarla».

Come si fa a farsi conoscere?

«Jacques Brel diceva: “Il talento è aver voglia di fare qualcosa”. Poi, per farsi conoscere ci sono molte strade, ma la migliore è Internet. È il media libero e accessibile a chiunque. Anzi à n’importe qui, che ricorda il nome che ho scelto per la mia impresa».

Lavorerebbe in Italia?

«Se mi invitaste, verrei».

Ci sono problemi nella sua attività?

«Non ci sono problemi a divertirsi e a restare liberi».

Nuovi progetti?

«Vivo giorno per giorno, non penso al domani». INFO: www.nimportequi.com

Te la do io la musica gratis

Un sito, per scaricare la musica gratis, senza infrangere la legge sul diritto d’autore. Così un giovane francese è riuscito a raggiungere 10 milioni di clienti

Un sito a disposizione di tutti, per scaricare la musica gratis, senza correre rischi di infrangere la legge sul diritto d’autore. Perché i diritti si pagano grazie a sponsor e inserzionisti. Canzoni gratis per gli utenti, ma business redditizio per chi gestisce il sito. Ecco l’idea di Jonathan Benassaya e Daniel Marhely, fondatori di Deezer, la start up nata in seno alla business school francese Essec. Il portale, che due anni fa ha convinto le major discografiche, oggi ha conquistato anche la Apple: Deezer è diventata anche un’applicazione iPhone e iPod touch, scaricata in pochi mesi da 800mila iscritti allo store Apple. «Nel 2006 Daniel, il mio socio, aveva creato un sito di condivisione di musica. Ma era illegale. Ci siamo trovati nel 2007. L’ho incontrato per negoziare con la Sacem (corrisponde alla Siae in Francia, ndr) e creare il sito che propone l’ascolto di musica gratuita e legale» racconta Jonathan Benassaya, nominato Uomo marketing 2008 dalla rivista francese Marketing magazine.

Come avete tradotto l’idea in un’impresa reale?

«Deezer, quando è stata creata, nell’agosto 2007, era una start up che non dava lavoro. Ma il sito ha avuto una rapida affermazione, dobbiamo fronteggiare questa crescita. È il motivo per cui abbiamo continuato ad assumere gente, a trasferirci in uffici più grandi e così via. Oggi Deezer è una vera impresa con una squadra strutturata. I 600mila iscritti nel sito all’inizio di sono trasformati nei 10 milioni di oggi. In soli due anni».

Quando avete capito che ce l’avevate fatta? 

«Il successo è arrivato progressivamente, fin dal suo lancio e continua nel tempo. Abbiamo avuto anche un buon appoggio dalla stampa. E siamo arrivati al momento giusto: la maggior parte della gente consumava musica illegalmente, tramite la connessione al Web o altri canali. Il fatto di poter proporre l’ascolto di milioni di titoli in modo semplice, legale e gratuito ha sedotto milioni di persone nel tempo».

Chi vi ha aiutato?

«Abbiamo avuto dei business angel. Un primo finanziamento all’inizio, un secondo poco tempo fa. Il fatto di lanciarsi in un progetto innovativo è importante. L’offerta di Deezer, al suo lancio, non esisteva da nessun altra parte. Siamo stati i primi a dimostrare che era possibile l’ascolto della musica in modo legale, discutendone con tutti gli attori del mercato e le etichette discografiche. Quello che conta è avere una buona idea.

Quali sono i problemi da imprenditori?

«Essere imprenditori è una lotta continua. Si deve gestire nel quotidiano la squadra, i partner. Nel Web tutto va molto veloce. E abbiamo di fronte anche dei concorrenti, quindi, dobbiamo andare più lontano. INFO: www.deezer.com/fr

10 spunti per nuovi business

Guardatevi allo specchio. Che cosa sapete fare bene? Questa capacità potrebbe essere il fondamento di un business molto redditizio.

Considerate la vostra cerchia familiare. Qualcuno ha avviato un’azienda che potreste rilevare? Oppure potreste impiegarvi nella sua azienda, imparare tutto e avviarne una vostra?

Considerate l’azienda nella quale oggi lavorate. Potreste crearne un’altra per intraprendere un’attività che essa non svolge?

Considerate le idee che la vostra azienda rifiuta o ignora o cerca invano di prendere in considerazione. Spesso sono queste le opportunità per creare piccole imprese.

Leggete le riviste sul franchising. Rilevate un’affiliata o avviate una società in un settore in rapida crescita

Fornite prodotti e servizi tipici. Osservate i gruppi etnici in crescita e vendete loro ciò che desiderano.

È sempre più richiesto ogni tipo di assistenza sanitaria; la domanda è in crescita parallelamente all’aumento del numero degli anziani.

La gente vuole risparmiare e pensa al fai da te. Ma spesso non ne è capace. Offrite servizi di riparazione, riordino, disbrigo burocratico.

Osservate le imprese nate da idee innovative all’estero. Imitatele o importatele, se nella vostra città non c’è niente di simile e pensate possa funzionare.

Sviluppate una delle vostre vecchie idee, di cui parlate da anni, o quel vecchio progetto buttato giù durante l’università.

Silvia Messa, Millionaire 11/2009

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