Simone, dall’Australia torna in Italia per fare una startup di successo

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18 Maggio 2015

Laurea alla Bocconi, in Economia e management, Simone Lini, 25enne cremasco, vola in Australia per lavorare in un fondo di investimenti. Ma poi il desiderio di tornare in Italia per realizzare la startup dei suoi sogni: «Avevo uno stipendio alto e tutto il futuro davanti a me. Ma volevo mettermi in proprio e fare qualcosa di mio» racconta a Millionaire.

È allora che pensa a un business sul car pooling, la condivisione di auto tra privati, stile Blablacar: «Sono tornato in Italia e subito dopo sono volato negli Stati Uniti per frequentare Mind the Bridge. Ho provato a sviluppare la mia idea, un car pooling che permettesse ai clienti di svolgere le transazioni con pagamento elettronico, ma i mentor e gli investitori lì mi hanno fatto capire che non aveva futuro. Che c’erano già troppi competitor sul campo. Allora ho fatto tesoro di questo feedback negativo e sono tornato a casa».

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Una volta in Italia, Simone capisce che deve espandere la sua idea, non più solo car pooling, ma un sito per offrire soluzioni di viaggio (economiche e veloci), unendo mezzi di trasporti tradizionali (metro, treni, bus) a sistemi innovativi (bike, car sharing, car pooling): «È l’inizio di YouMove. Ho contatto uno sviluppatore amico in Australia e iniziato a sviluppare il sito».

Ma le cose ancora una volta sembrano andare per il verso sbagliato. Presenta la sua idea a diverse competizioni, desta interesse, curiosità, ma nessun segnale che lo spinga ad andare avanti: «Allora, mi sono messo alla ricerca di un lavoro. Un fondo di investimenti in Italia mi ha assunto. Durante una pausa pranzo un collega più anziano mi fa notare che la sua vita in quel lavoro era stata da sempre monotona. Preoccupato, mi sono licenziato dopo una settimana. La vita da dipendente proprio non faceva per me».

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Decisione coraggiosa che si rileva giusta. Dopo qualche giorno dal licenziamento riceve la notizia della vittoria al Working Capital di Telecom. 25mila euro e 4 mesi di incubazione che gli permettono di completare il team ed elaborare un modello di business vincente: «Abbiamo cambiato nome della startup (oggi si chiama Waynaut). Ho formato una squadra di sviluppatori di esperienza e abbiamo elaborato un nuovo modello di business. Ci rivolgiamo alle agenzie di viaggio online che usano il nostro servizio per offrire ai loro clienti soluzioni più veloci e vantaggiose. L’agenzia paga un fisso su ogni transazione che viene effettuata grazie a noi».

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Sviluppata l’idea e catturati i primi clienti, Simone torna all’attacco degli investitori. Questa volta il business e più definito, anche il team è più solido. Il fondo P101 crede nell’idea e investe: «Li ho conosciuti al Working Capital e abbiamo mantenuto i contatti. Siamo riusciti a chiudere, raccogliendo più di mezzo milione di euro».

Oggi la sua azienda ha tredici dipendenti (età media 27 anni) e clienti che in media portano ricavi da mezzo milione di euro in su l’anno: «Per convincere un investitore a credere in te devi garantirgli ritorni molto alti. Loro sanno che molte startup falliscono nei primi anni di vita e devi avere un modello di business che permetta loro di recuperare l’investimento in tempo brevi. Insomma, come dicono in America: “Go big or go home”. Poi ovviamente il team deve convincerli, la loro esperienza. Vinci se hai sviluppatori in gamba. E infine, un prodotto che abbia già dei numeri da raccontare. Molti startupper sbagliano perché cercano soldi troppo presto senza avere qualcosa da raccontare di concreto. È un errore che ho fatto anch’io».

INFO: http://waynaut.com/

Giancarlo Donadio

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