Il precariato raccontato in un libro

Di
Lucia Ingrosso
14 Settembre 2016

 

Schiavi di un dio minore: un libro racconta storie di lavoratori sfruttati e di diritti calpestati. E dà qualche ricetta per (provare a) uscire dal precariato.

Dopo il libro Morti di fama, torna la coppia di giornalisti e scrittori Loredana Lipperini e Giovanni Arduino con Schiavi di un dio minore. Sfruttati, illusi, arrabbiati: storie del mondo del lavoro di oggi (Utet, 14 euro). Non un saggio e neanche un romanzo. «Al momento, la narrative non-fiction, la saggistica narrativa, meno paludata e più libera di quella tradizionale e slegata dagli obblighi del romanzo, almeno per me rappresenta un’ottima corsia preferenziale per narrare la realtà» spiega Giovanni a Millionaire.

Il risultato è un libro piacevole da leggere, per l’approccio giornalistico e lo stile letterario, ma violento come un pugno nello stomaco. Perché racconta la realtà lavorativa di oggi, quella che penalizza allo stesso modo artigiani e laureati, freelance e dipendenti (ma ce ne sono ancora?). Senza differenze: a Nord e Sud, in Italia e all’estero. Dignità calpestate, diritti negati, contratti inesistenti, paghe da fame. Fino all’estremo sacrificio, come testimonia la storia di Paola, morta dopo 15 anni di lavoro da bracciante. Dalle cinque e trenta del mattino, ogni giorno nei campi, per 12 ore, a 27 euro al giorno. Un caso estremo, ma emblematico.

Come avete scelto le storie?

Giovanni: «Le storie si sono scelte, si sono imposte da sole. Anzi, abbiamo dovuto compiere un notevole lavoro di selezione e scrematura».

Loredana: «Ci sono state, inoltre, storie conclamate di schiavismo e storie dove il discrimine col precariato sembra evidente. In realtà, come mi auguro si comprenda, è sottilissimo».

Qual è il messaggio ai giovani? Come possono costruirsi un futuro anche in questa situazione? 

«Il messaggio ai giovani? Salvatevi a qualunque costo. Ma questo vale per tutti, a qualsiasi età. “Come possono i giovani costruirsi un futuro?” Secondo me, anche e ancora adesso, seguendo le proprie inclinazioni, magari con un piano B, una strategia di riserva, ma senza rinunciare a tutto per un paio di soldini in più (sottolineo soldINI, perché giusto quelli sono rimasti, poche storie)».

«Più che un messaggio, mi auguro sia la restituzione di una realtà dove non sono soli. Per me la salvezza è sempre nell’unione, non nel sentirsi isolati e nel limitarsi a qualche sfogo rabbioso sui social. E non vale, appunto, solo per i giovani».

Che cosa possiamo fare, tutti quanti, per contribuire a cambiare le cose?

«Le cose cambieranno quando cesserà questa guerra tra poveri carica di odio che aiuta soltanto gli sfruttatori del caso. Temo dipenda da noi fare in modo che accada, da noi tutti, e da nessun altro».«Nessuno si salva da solo, mai. E viviamo – lo avevamo scritto anche in Morti di fama – in un momento storico dove la solitudine è la peggior nemica di qualsiasi prospettiva. Guardarsi intorno, trovare ed esprimere solidarietà, immaginare un futuro. Questo dovremmo fare, tutti».

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