Fatto@scampia: un brand che “ammazza la camorra”

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13 Dicembre 2012

Nella vita di una persona che fa il mio mestiere ci sono momenti che definisco di illuminazione.  Mi riferisco, in altre parole, a quelle esperienze, comuni credo ad ogni ambito professionale, grazie alle quali capisci realmente perché ami tanto il tuo lavoro e perché sei felice solo quando ti offrono l’opportunità di farlo.

Perdonatemi questa parentesi personale, ma mi sembrava il modo migliore per parlarvi di Emilia Mango, tra le promotrici del neonato brand “fatto@scampia”, un’etichetta che nasce nel quartiere di Scampia, periferia degradata a Nord di Napoli, per contraddistinguere i prodotti artigianali di sartoria e cartotecnica della Cooperativa Sociale “La Roccia”.

Ho conosciuto Emilia ieri a telefono e le ho fatto alcune domande sull’essenza del suo brand, su cosa significa fare impresa in una periferia disagiata come Scampia, e su quali sono le sue speranze per il futuro del territorio nel quale vive e lavora.

Leggiamo insieme cosa ci ha raccontato.

 

Un marchio, fatto@scampia, che è associato ad una realtà percepita da gran parte dell’opinione pubblica come sinonimo di droga e criminalità. Non hai paura che questo danneggi l’immagine dei tuoi prodotti sul mercato?

Ti rispondo con un esempio. Se prima andavi su Google e digitavi le parole “fatto a scampia” si profilavano sullo schermo una serie di notizie di cronaca su fatti sanguinari avvenuti nel mio quartiere. Oggi se digiti le stesse parole ti appariranno, in alto nel motore di ricerca, i nostri prodotti di cartotecnica e sartoria, realizzati anche con il contributo di ragazzi disagiati del quartiere. In fondo, con delle sane azioni si può contribuire a cambiare la percezione delle cose. Basta lavorare e darsi da fare.

Come nasce la vostra Cooperativa e qual è la vostra mission sul territorio?

La nostra Cooperativa è inserita all’interno del Centro Hurtado, un importante polo di aggregazione nato grazie all’idea del padre gesuita Fabrizio Valletti nel 2001. La nostra Cooperativa vuole offrire lavoro,competenze professionali specifiche, e soprattutto,una cultura della legalità e del lavoro alle ragazze e ai ragazzi del quartiere Scampia. Questo il senso più profondo dei laboratori di sartoria, di cartotecnica, che permettono ai ragazzi di esprimere le loro potenzialità, recuperando anche vecchi mestieri artigianali, come quello del rilegatore di libri, per intenderci, che stanno sparendo nel nostro Paese.

Scampia e disagio sociale. Nella tua esperienza sei ogni giorno a contatto con ragazzi/e difficili. C’è speranza di ricondurli ad una vita normale?

Il lavoro fa miracoli. Ti faccio due esempi. In laboratorio abbiamo un ragazzo con problemi di apprendimento. Ebbene quando arrivò da noi non riusciva a relazionarsi a nessun altro del gruppo. Ora dopo il laboratorio parla con i suoi colleghi, si confronta nel lavoro. Certo, produce meno di altri, ha i suoi tempi, ma questo per noi conta poco. L’importante è che riesca a portare a termine un compito e veda un prodotto finito con le sue mani. Poi potrei citarti diversi casi di ragazzi che ci vengono affidati dai carceri minorili. Alcuni li recuperi, li riporti sulla giusta strada, altri meno. Ma provarci è un obbligo morale.

Come vendi i tuoi prodotti, su cosa punti per renderli appetibili sul mercato?

Puntiamo alla qualità e al legame con il territorio. Io dico sempre ai ragazzi di impegnarsi nel lavoro. La nostra filosofia è che non vogliamo che qualcuno compri i nostri prodotti per “farci un piacere”, vogliamo che un consumatore ci scelga perché si innamora di ciò che vede, e capisca il duro impegno che c’è dietro per realizzarlo. Poi, a lungo raggio, abbiamo l’obiettivo di creare una cultura sui prodotti che vengono fuori dalle cooperative come le nostre. Chi vive il territorio e lo ama, insomma, deve scegliere noi rispetto ad un nostro competitor perché così potrà contribuire al rilancio di Scampia e della sua immagine presso i media.

Qual è la più grande soddisfazione finora del tuo lavoro?

Sicuramente l’incontro che abbiamo avuto qualche mese fa alla NATO di Napoli. Abbiamo esposto i prodotti davanti ad un pubblico straniero che è rimasto a bocca aperta per la loro qualità. Gli è piaciuto così tanto il marchio che stiamo lavorando ad un accordo per vendere i nostri prodotti nei punti vendita delle basi americane.

Quando dico la parola  “futuro” a cosa pensi?

Penso al sito di ecommerce che stiamo mettendo a punto. Sarà un modo per farci conoscere sempre di più a quel pubblico internazionale, amante del Made in Italy. E poi alle nuove sfide che mi aspettano: trovare nuovi modi per motivare i ragazzi, per far crescere la cooperativa, per arrivare a far quadrare i conti. Insomma, di sicuro non mi annoierò!

 http://www.fattoascampia.com/

Non si annoierà di certo Emilia: da buona imprenditiva non conosce il significato della parola noia.  Emilia non è l’unica donna che vive e lavora per migliorare l’immagine del territorio in cui vive. Tempo fa intervistammo infatti Alessandra Cecere.  Clicca qui per leggere l’articolo.

E tu conosci altri esempi di donna che hanno saputo legare così bene business ed etica? Commenta qui!

Giancarlo Donadio

 

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