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Il pollice su 👍 vale come firma contrattuale, lo conferma un giudice Canadese

Di
Ilena Ilardo
15 Luglio 2023

In Canada, un contratto per l’acquisto di 86 tonnellate di semi di lino, viene mandato su WhatsApp, l’interlocutore risponde con una emoji che gli è costato 61 mila dollari canadesi (circa 42 mila euro).

 

Il fraintendimento via messaggi

Nella provincia di Saskatchewan, in Canada, un acquirente di grano ha inviato un messaggio di testo di massa a diversi clienti nel marzo 2021, pubblicizzando che la società stava cercando di acquistare 86 tonnellate di lino. L’acquirente, Kent Mickleborough, ha poi parlato al telefono con l’agricoltore Chris Achter e in seguito gli ha inviato un messaggio con l’immagine di un contratto per la consegna dei semi di lino a novembre, chiedendo all’agricoltore una conferma nel messaggio.

L’agricoltore ha risposto con l’emoticon ‘pollice in su’, ma la consegna non è mai avvenuta. Al momento della prevista consegna, la merce non è arrivata. L’acquirente ha ulteriormente deciso di fare causa anche perché nel frattempo, i prezzi dei semi erano saliti. L’acquirente ha giustificato la sua azione spiegando che in precedenza l’agricoltore aveva risposto a messaggi simili anche con “yup” oppure altre emoji, quindi per lui, valeva come conferma. L’agricoltore invece smentisce che l’emoji del pollice su era una conferma del contratto e spiega che la sua risposta serviva soltanto per validare la ricezione del messaggio. La decisione del giudice è a favore dell’acquirente e condanna l’agricoltore a pagare una multa di 61 mila dollari canadesi.

 

La decisione del giudice

Per la Corte canadese, l’emoticon equivaleva a una firma di accordo tra le parti. L’agricoltore è stato quindi costretto a pagare 61 mila dollari canadesi per la ‘svista’. Il giudice Timothy Keene, che a un certo punto ha utilizzato una definizione del simbolo da parte di Dictionary.com, si è lamentato del fatto che il caso ha portato le parti a una ricerca a lungo termine dell’equivalente della Stele di Rosetta nei casi di Israele, dello Stato di New York e di alcuni tribunali in Canada, per scoprire il significato dell’emoji utilizzato.

«Questa corte riconosce che l’emoji ‘pollice in su’ è un mezzo non tradizionale per ‘firmare’ un documento, ma comunque in queste circostanze si trattava di un modo valido per trasmettere i due scopi di una firma, non può (né dovrebbe) tentare di arginare l’ondata di tecnologia e dell’uso comune delle emoji».

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